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23 febbraio 2009

La goia di esistere



La domanda che è stata posta al post precedente è opportuna e quindi intendo rispondere. Perché se non si parla della vita, della gioia di un ragazzo parlare allora della sua morte? o meglio l'affermazione era questa

"Probabilmente non avresti mai scritto un post sulla gioia di vivere di Paride se non fosse morto, allora perché scriverne dopo?"

Ne avrei dunque parlato come se fosse rimasto vivo, in certo termini?
Ovvio che no. Il ché non vuol sminuire l’importanza della gioia e della vita, ma anzi sottolinearne l’importanza proprio nel momento in cui viene meno.
Certo si può vivere anche male, e tanto male, pure malissimo, ma finché si è vivi si è vivi ci sono possibilità alternative, si può pensare al fare, si è in discussione nel bene e nel male. La morte ci piomba in un niente. Almeno dal punto di vista umano. Carlo Vallini direbbe “Una camera muta” e poi

Perché parlarne
?

Perché non solo si ragiona, ma si sente in primo luogo per sottrazione, e la sottrazione crea la necessità di far esistere quello che ci è stato sottratto.
Quando ci abituiamo a vivere in un contesto, ci abituiamo soprattutto all’ingerita’ di quel contesto , e sappiamo che anche quando non lo vediamo in un determinato momento nella sua completezza materiale - che quell’integrità viene mantenuta pure se in quel momento apparentemente non ci appare di fronte agli occhi, ma il nostro cuore, il nostro animo è tranquillo in questo tutto a noi noto.
Il "sentire per sottrazione", ci sbanda; un’esistenza mancata ci disabitua forzatamente alla nostra visione del quadro.

Altro discorso più semplice, quando c’è la gioa, c’è la vita questa ci appaga semplicemente vivendola e quindi non c’è bisogno di sottolineare nulla, perché l’ esistenza ci riempie come esistenza stessa, concatenata a tutta una serie di identità a noi ben conosciute non solo con la testa, ma anche con lo stomaco, il ché è ancora più importante. Fa tanto male, quel male che prende allo stomaco fino a farti piangere, perché se per la vita non ci servono troppe spiegazioni, per la sofferenza le cerchiamo.

Nemmeno la non fede basta per poter pensare ad un "mai più". Al di là di questo, non parlo di una morte a caso, non esiste un solo uomo morto, un solo ragazzo, però è proprio nell’esclusività dell’individuo che esiste il dolore.
Quando soffriamo, soffriamo meno perché sappiamo che c’è la fame nel mondo, o che altri milioni di persone sono in condizioni analoghe alle nostre? No. E allora perché ragionare in termini simili per la morte di un ragazzo, un ragazzo che non è certo sostituibile ad un altro, a allo stesso tempo avrebbe potuto essere un altro, qualcuno di noi compreso. Ma un ragazzo che posso dire che mi fa più male a pensare che sia lui nello specifico, non semplicemente per il fatto che conoscerlo, che quella potrebbe essere proprio la sofferenza primigenia che un altro individuo patisce anche in maniera un po’ egoistica vedendo nella perdita dell’altro una lesione alla proprio identità, ma perché Paride era un bravo ragazzo, proprio un bravo ragazzo nel senso più lindo che si possa intendere, lindo e poteva dare tanto, e ricevere tanto, di quelle persone ch contribuiscono alla serenità di chi ha vicino, oggi non è poco.

Ho perso diversi altri amici nella mia vita, anche morti in maniera più tragica se proprio vogliamo, e anche più giovani, e sono stata male, malissimo, ma in un qualche modo, non so come dire erano dentro un rapporto causale della propria morte, e se ciò non sminuisce la sofferenza, la sensazione di giustizia che ne è strettamente correlata sì.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

La domanda a cui rispondi, se in parte può anche essere vera, non lo è nelle circostanze. Come tu dici “si ragiona”.
La notizia di una morte, fa ragionare e commentare. E’ cosi sempre. In qualsiasi ambiente a noi vicino o lontano, e
maggiore è la vicinanza e la conoscenza della persona morta, maggiormente ne siamo colpiti , e ne parliamo con chi ci è vicino, parente, amico, conoscente.

paolo
barbar

Anonimo ha detto...

Riflessioni da non sporcare con un commento ma l'ultima parte non l'ho capita... Che significa: "Essere dentro un rapporto causale della propria morte?" Non lo trovi terribile?!
LUCA

frank ha detto...

Non è vero che la morte di Paride non abbia senso. Secondo me un senso ce l'ha e anche molto forte, ma temo che riconoscerlo ci darebbe fastidio: si avvicina troppo a quel sistema di valori artificiosi che imponiamo alla nostra coscienza per giustificare il bello e il brutto del nostro vivere "sociale". credo la semplice enunciazione non serva a nulla, dovremmo provare tutti a fare come Paride: saliamo in sella ad una qualunque bicicletta e buttiamoci nella violenza del traffico cittadino.

Anonimo ha detto...

Paride era probabilmente una persona del tutto ordinaria, con i suoi picchi e i suoi abissi. Nutriva una tensione artistica magari non supportata da capacità effettive. Oppure no, non ho avuto il piacere di conoscerlo. Credo però che tu lo stia rendendo migliore di quello che era. O meglio: coltivi l'idea che la morte renda migliori le persone, che le nobiliti, soprattutto se sono morte giovani.
In realtà la morte è un dato di fatto con cui ognuno di noi deve fare i conti individualmente, senza intermediari. É anche l'ultima interdizione dell'uomo moderno. Abbiamo abbattuto tutti i tabù: il sesso, il rispetto per la Divinità, per la Vita... Siamo approdati ad un'età senza Dio, dove la vita è una ginnastica di sopravvivenza, in cui la libertà sessuale ha portato ad un sesso più spiato che praticato.
Non riusciamo però ad accettare l'idea della morte, ci affanniamo in mille occupazioni inutili per spingere la notte più in là, per esorcizzarne l'idea.
Tu cerchi di scriverne, cerchi di capire l'incomprensibile. Non ti affannare tanto: un giorno anche tu morirai. Allora saprai. Peccato però che non potrai più scriverne. Che beffa vero?
Marco.

Gisy ha detto...

@ Paolo - dovrebbe far pensare molto. Sì mi ha colpito molto questa morte, ma molto più distante altre morti che mi sono state accanto.

@ Luca - Significa molto semplicemente che certe persone ci vanno più incontro a situazione a rischio di altre, ad esempio un mio caro amico che è morto ammazzato alla fine, si era messo in un brutto giro di droga molti anni fa, un altro è annegato in un lago era su una canoa e non sapeva nuotare. Quindi è una morte più causale che casuale, anche se son morti orrende, però uno ha come dire un briciolo di più colpa se permetti. Uno che viene investito no, per nulla.

@ Frank - grazie a Dio la vita come la morte non è gratis, nè per il singolo nè per tutti che tramite le individualità altrui abbiamo questa magica possibilità di costruire la nostra nella sua totale unicità. IL bello e il brutto scremato dagli imbellettamenti è relegatile solo ai sentimenti.
Credo che bisognerebbe essere "paride " proprio per com'era da vivo, una che la vita la gridava nel suo fare, senza strafare... La violenza del traffico cittadino la lascio a chi ci vuole stare, io proprio come paride non o nemmeno la patenta, le macchine mi inquietano, non mi piacciono e se potessi le prenderei tutte a calci.

@ Marco - Tu non ti puoi permettere assolutamente di parlare così di una persona che non conosci, mentre io posso dire di aver conosciuto.
L'impressione, cioè al di là della conoscenza l'essenza forse è ben più importante.
Come ho già detto, ho avuto amici molti più vicini di quanto non fosse paride, e son morti se vogliamo in maniera anche più truce, parecchio più truce, e ti garantisco che anche se ho sofferto non son stati per nulla santificati nella mia testa e nel mio cuore dalla loro morte, se non dalla nostalgia che li ha resi per sempre giovani mentre per me e per gli altri le giornate passavano pure se non sempre in buono modo.
Per cui tu non sei in questa posizione di giudizio, io mi sento di averla.
NOn mi frega di poter dare spiegazioni io, è inaccettabile accettare, e solo lì sta la grandezza, nel riuscire ad accettare la perdita con gran sofferenza.
Cosa significa che con la morte si deve fare il conto senza intermediari. E' un pò una puttanata, la morte degli altri ci deve essere altro che di esempio per il nostro senso.
Siamo senza Dio perché perdiamo noi stessi, ma la nostra paura della morte non è relegatile solo ad oggi.
Io mi affanno per cercare solo un pò di più umanità, cosa me ne frega delle spiegazioni?
Mi spiace solo che il caso possa colpire negativamente anime così linde.

frank ha detto...

la morte è il nostro destino e se non possiamo sfuggirgli non possiamo neanche capirla veramente. e forse il vero problema è proprio qui: quando invece sembra avere un qualche significato diventa davvero insopportabile.

http://www.ilikebike.org/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=809&mode=thread&order=0&thold=0

Gisy ha detto...

Non credo che ci possa essere umanamente un qualche razionale significato.
Possono esserci solo dei tentativi di fede, della fede. Della contro-fede, ma dei gran significati in queste tragedie non ne vedo molti.

Mi spiace per quel ragazzo.

frank ha detto...

io ne vedo uno e mi basta: il più forte ha soppresso il più debole. e lo trovo anche molto razionale.

ps.
i fiori nella foto sono muscari (chiamati anche pentolini) o lavanda?